Uberto Pasolini – Still life

C’è chi nel momento finale non ha nessuno. Né nell’attimo prima, al capezzale, né dopo, che ne perpetri il ricordo. Nessuno che, semplicemente, si occupi di tutti gli aspetti pratici conseguenti a una dipartita. In questi casi ci pensa John May, scrupoloso funzionario comunale, il cui compito è di sbrigare tutte le faccende relative a un funerale e alla ricerca dei parenti prossimi dei morti. La morte è una faccenda privata e, come diceva Curzio Malaparte, è una necessità, così com’è necessario vivere: quando arriva il momento ognuno deve affrontare il suo destino («quando si muore, si muore soli» cantava De Andrè ne Il testamento) e allora l’affidabile John May è la persona giusta al momento giusto. Perché nessuno meglio di lui è altrettanto bravo nel restituire dignità a chi non c’è più e di cui nessuno sente la mancanza.

Still life di Uberto Pasolini (un cognome che attira l’attenzione, anche se, in realtà, questo Pasolini è imparentato con un altro grande regista, Luchino Visconti) è una vera rivelazione. È un film delicato sulla solitudine, ma anche sulla vita, da assaporare in ogni istante e nelle piccole cose. Non c’è niente di più indicato della professione del protagonista per costruire un legame tra morte e vita: certo, John si occupa di defunti, ma è con i vivi che nel film si ritrova a fare i conti. Ad un certo punto, a causa di tagli interni all’azienda, viene licenziato. Il colpo è duro, perché quel lavoro rappresenta tutta la sua vita: eppure, il moderno Caronte decide di reagire e di chiudere quel capitolo in modo esemplare, interessandosi a un ultimo caso, che gli sta particolarmente a cuore.

Un film intenso, incarnato alla perfezione da quest’uomo forse esteticamente non bello, ma dotato di un’umanità fuori dal comune. Niente è insignificante, soprattutto perché la vita è breve: «Ognuno sta solo sul cuor della terra, trafitto da un raggio di sole. Ed è subito sera» scriveva Salvatore Quasimodo, e per fare in modo che la sera non giunga in abbandono e isolamento è necessario, finché si respira, amare in modo disinteressato, evitare egoismi, cattiverie, essere gentili, come sottolineava in un recente messaggio agli studenti George Saunders. Ma John ha cura anche di chi ha avuto delle mancanze in vita, perché tutti hanno diritto a una seconda possibilità: come ha affermato lo stesso Pasolini, questo non è solo un film sul valore della vita, ma soprattutto «sul valore della vita degli altri». C’è anche un tempo per delle sorprese un po’ amare e inaspettate, ma che ben presto vengono controbilanciate da dei passaggi che restituiscono giustizia e coerenza al destino di John May. A conti fatti, certe soluzioni e scelte che ci vengono proposte da Pasolini, in definitiva, erano le uniche possibili.

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