Pif – La mafia uccide solo d’estate

Strana sorte quella che capita alle commedie italiane. Ti proponi l’obiettivo di intrattenere e di far ridere senza alcuna pretesa e diventi subito l’erede della volgarità natalizia vanziniana. Cerchi di dare anche un messaggio sociale di qualche tipo e sei tacciato di moralismo. Il tutto con l’onnipresente responsabilità di dover per forza replicare la perfezione stilistica di alcuni capolavori della cosiddetta “commedia all’italiana”, con la quale ogni paragone è non solo inappropriato ma anche ingiusto. D’altra parte, il cinema comico italiano di oggi non gode certo di ottima salute. È un pò strano infatti che questo genere non si sappia rinnovare se non utilizzando il successo, le capacità, le idee e i volti noti dei personaggi televisivi.

Il discorso è lungo e certamente non si esaurisce con questa breve premessa, ma La mafia uccide solo d’estate, opera prima di Pierfrancesco Diliberto, rappresenta una fortunata anomalia di fronte all’asfittico panorama della commedia italiana recente. Si, perchè seppur provenendo anche lui dalla televisione (un passato da “Iena” e un presente da “Testimone”) a differenza dei vari Mandelli, Siani, Zalone, possiede e si fa veicolo di una visione cinematografica ben definita e per niente scontata, difficile da trovare nell’intero cinema italiano, figurarsi in un esordio.

Pif infatti non è soltanto l’impacciato reporter che abbiamo conosciuto in televisione, ma è soprattutto un competente uomo di cinema (suoi sono il montaggio, le riprese, la sceneggiatura nel programma di Mtv) che prima di ottenere il successo è stato assistente alla regia di Franco Zeffirelli in Un tè con Mussolini e soprattutto di Marco Tullio Giordana nel film I cento passi.

Ed è proprio il mix di inchiesta giornalistica e affresco storico che strutturava il bellissimo film su Peppino Impastato ad essere la chiave di lettura di questo sorprendente esordio. Quella di Pif è soprattutto una operazione consapevole, onesta e profondamente studiata, che nonostante l’impianto da “film da far vedere nelle scuole” riesce a non trasformarsi mai in “lezioncina” e conservare quella sana e coraggiosa retorica senza essere troppo pesante. Un cinema che ricorda, nel suo essere tragico e comico insieme, il Benigni di Johnny Stecchino che condivide con il film di Pif oltre all’ambientazione siciliana e il gusto per gli “incastri” narrativi, anche quella particolare capacità di farci percepire il dolore e le contraddizioni di una regione e di un intero paese, senza però mostrarceli apertamente ma mascherandoli utilizzando di volta in volta l’ironia e le soluzioni offerte dalla commedia.

Aspettiamo tutti con ansia il prossimo film di Pif.

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