Peter Kosminsky – White oleander

Ingrid è condannata a trentacinque anni di detenzione per avere ucciso il suo amante con un veleno estratto dall’oleandro bianco. Rimasta sola, la figlia Astrid viene spedita a vivere con un’ex spogliarellista, Starr. Quest’ultima, nonostante il suo passato, è molto religiosa; vive con Ray, il quale dedica parecchie attenzioni alla nuova arrivata, che ingelosiscono la sua compagna e la spingono a sparare alla ragazza. In seguito all’episodio, Astrid viene trasferita in un istituto, dove stringe amicizia col fumettista Paul.

Accolta in una nuova famiglia, Astrid può finalmente contare sull’amore di Claire, una signora sensibile e fragile, che da tempo tenta di sfondare come attrice. Per la ragazza non c’è però pace e, dopo l’ennesima tragedia, Astrid incontra al mercato l’avvocato difensore della madre, che vorrebbe convincerla a testimoniare a suo favore. La giovane è disponibile alla cosa, a patto che Ingrid risponda ad alcune importanti domande.

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L’omonimo romanzo di Janet Fitch, da cui il film è tratto, è considerato un piccolo caso letterario negli Stati Uniti, promosso (e da qui la maggiore visibilità) dalla popolare Ophra Winfrey. White oleander è un melodramma in cui centrale è il rapporto madre-figlia, squilibrato e ossessivo, che le tiene legate in modo indissolubile, nonostante i continui pellegrinaggi di Astrid da una famiglia all’altra e la permanenza di Ingrid in prigione.

Il film non è un’opera pretenziosa e da qui la sua riuscita. Il regista avrebbe potuto girare un lungometraggio ad alto spessore psicologico, insistendo molto di più sull’interiorità delle protagoniste: il rischio, però, era proprio quello di creare dei personaggi troppo complicati, inseriti in una trama già di per sé articolata, scivolando così facilmente in esagerazioni, in cadute nel grottesco o, peggio ancora, nel patetico.

Invece, mantenendosi su un livello qualitativo medio, il film conserva una certa credibilità, sia nella storia che nelle interpretazioni, risultando nel complesso una buona pellicola, sicuramente non una pietra miliare del cinema drammatico, ma nemmeno un realizzato di scarso valore culturale come sostenuto dai critici alla sua uscita.

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