Sándor Márai – La sorella

Ci sono momenti in cui si diventa casualmente testimoni della vita di un uomo e della sofferenza che ad essa si accompagna. Sono attimi molto rari, di profonda complicità, durante i quali «con la forza della passione, del fanatismo o della fede riveliamo a un’altra persona qualcosa del senso nascosto dell’universo».

Raccontano un incontro di questo tipo le prime pagine de La sorella, romanzo di Sándor Márai. La voce narrante è quella di un anonimo scrittore, che durante l’inverno del 1941 è costretto dal mal tempo a rimanere più del previsto in una piccola stazione termale, in mezzo alle montagne della Transilvania. Ci sono altri ospiti nell’albergo, ma egli viene colpito soprattutto dalla misteriosa personalità di Z., un celebre musicista, ritiratosi improvvisamente dalle scene mondiali. Con lui avrà una conversazione notturna tanto inaspettata quanto sincera ed intensa. L’unica che condivideranno prima di ritornare ognuno alla propria vita, senza mai più incontrarsi.

Eppure, non molto tempo dopo, allo scrittore arriva per posta un manoscritto di Z.; egli decide spontaneamente di pubblicarlo, senza alcuna modifica, perché «quando un uomo, ormai prossimo alla fine, parla in tutta sincerità di ciò che ha riconosciuto essere l’essenza della vita, spera certamente che la sua confessione possa essere d’aiuto ai suoi simili». Inizia a questo punto la seconda parte del romanzo, in cui sarà il musicista in prima persona a raccontarci di un altro incontro, quello con la sua malattia.

La particolare cura per i dettagli e le descrizioni usata da Sándor Márai nelle prime pagine, viene qui amplificata. Z. descrive minuziosamente il periodo del ricovero in ospedale: le conversazioni con il primario e con il suo assistente, le cure delle quattro suore («le discrete collaboratrici, le angeliche ruffiane: le sorelle»), le sofferenze, la pace data dall’oppio, i momenti di euforia. Non c’è niente di patetico o di taciuto nelle sue parole, non vuole commuovere né essere delicato. Scrive per capire cosa gli succede, per conoscere la malattia, per comprendere da quale «menzogna di tutta una vita» essa è nata. Solo in questo modo può sperare di guarire. La malattia diventa anche uno strumento attraverso cui riflettere sul legame che la morte e la vita hanno con la fede, l’amore, la passione, la musica, la forza volontà.

Márai segue il suo personaggio con intensità e lucidità fino in fondo, anche nei momenti di delirio, per farlo “sentire” più che conoscere. Come se a partire dalla più profonda individualità si potesse arrivare a percepire una dimensione molto più ampia. Non è un caso se (tranne per quanto riguarda le quattro suore) i nomi dei personaggi non vengono citati o sono limitati alla sola iniziale.

Spetterà come sempre al lettore «decidere, una volta terminate queste pagine, se gli sembra trattarsi di una vicenda privata o di qualcos’altro, di più generale, che appartiene al destino comune degli uomini…».

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