Susanne Bier – Dopo il matrimonio

Jacob è un danese che da anni vive in India, dove gestisce un orfanotrofio. L’istituto versa in condizioni economiche precarie, ma, all’improvviso, giunge dalla Danimarca l’offerta di un finanziamento che potrebbe salvare dalla strada decine di bambini indiani. L’unica condizione posta dal misterioso finanziatore è che Jacob torni a Copenhagen, per esporre di persona il suo piano di investimenti. L’uomo è un po’ restio al rientro in patria, eppure non c’è altra soluzione. Una volta in Danimarca, scopre che il benefattore è Jørgen Hanssen, il marito di Helene, una vecchia fiamma che Jacob non vede da vent’anni.

Quest’ultimo viene invitato al matrimonio della figlia di Jørgen ed Helene la quale, durante il brindisi, ringrazia i suoi genitori, in particolare Jørgen che l’ha cresciuta con amore, pur non essendo il suo vero padre. A quel punto, una serie di coincidenze fanno sospettare a Jacob di essere lui il genitore della giovane ed, effettivamente, è proprio così: Helene non gli ha mai raccontato la verità e lui non ha mai saputo di avere una figlia. Adesso c’è lei, Anna, che vuole conoscere il suo vero padre. E c’è Jørgen, che nasconde un segreto…

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Arrivato a un passo dal portarsi a casa l’Oscar come miglior film straniero nel 2007, Dopo il matrimonio di Susanne Bier si è dovuto piegare a Le vite degli altri ma, non per questo, è passato inosservato (la regista si è rifatta qualche anno dopo con In un mondo migliore). Alla sceneggiatura della pellicola troviamo Anders Thomas Jensen, uno dei più dotati sceneggiatori danesi e regista anche di quel divertente e davvero ben riuscito Le mele di Adamo, in cui Mads Mikkelsen (che in Dopo il matrimonio veste i panni di Jacob) interpretava un grottesco prete, così deciso a rifiutare il Male in tutte le sue forme da negarlo in maniera decisa, vivendo in una realtà distorta, ma tuttavia la sola in grado di rendere l’esistenza più sopportabile.

Anche Dopo il matrimonio conserva questo aspetto un po’ surreale de Le mele di Adamo, perché la storia messa in scena dalla Bier ha dell’incredibile, così come incredibili appaiono il più delle volte le reazioni ed intenzioni dei protagonisti. C’è un motivo per cui Jørgen vuole Jacob nella vita della sua famiglia: un motivo nobile, per certi aspetti, ma che umanamente parlando lascia un po’ spiazzati, visto anche il sacrificio emotivo che il personaggio si ritrova a compiere, per garantire la futura stabilità affettiva della moglie e della figlia adottiva.

Una trama che poteva risultare banale se diretta e recitata diversamente. Una storia che poteva essere troppo irreale e che, al contrario, lascia nello spettatore un forte senso di commozione: da una parte, fondamentale è la contrapposizione tra il povero mondo indiano, dove, però, sopravvivono ideali semplici e genuini, e il ricco ambiente danese, che nasconde segreti e tradimenti sotto una facciata di perbenismo. Dall’altra, superlativi Mikkelsen, Sidse Babett Knudsen e Rolf Lassgård nell’imbastire questa giostra di intrighi, bugie, mancanze e umane fragilità, specchio di un passato che presenta sempre il conto, ma nel quale si può trovare redenzione.

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