Un passo indietro. 22 settembre: i Radiohead sono in studio di registrazione, e Thom Yorke fa correre un brivido lungo la schiena ai fan pubblicando su Tumblr la foto di un misterioso vinile bianco. Neanche 24 ore dopo, il cantante regala un altro sussulto: su Twitter compare una versione modificata con delle annotazioni di un vecchio testo dei Radiohead, A wolf at the door. Yorke la spiega affermando che assieme allo storico grafico della band, Stanley Donwood, si sta divertendo a frugare nello studio dei Radiohead e a riportare a galla del vecchio materiale. Sarà, ma il vinile bianco non dice cos’è, e comunque è evidente che qualcosa si muova. E infatti: il 26 settembre, praticamente dal nulla, si materializza su BitTorrent, acquistabile a pagamento alla cifra di sei dollari, un nuovo album solista del vocalist, questo Tomorrow’s modern boxes (di cui il vinile bianco rappresenta proprio la versione fisica e “deluxe”).
La premessa è pedante, lo so, ma serve a introdurre due elementi. Primo, i Radiohead sono una delle pochissime band con attività ventennale alle spalle a creare un piccolo putiferio ad ogni minima mossa. Secondo, sempre più i dischi oggi sembrano legati alle strategie di marketing adoperate per promuoverli o ai canali di distribuzione scelti: nel 2007, gli stessi Radiohead, per In rainbows, si erano affidati ad un meccanismo di digital download a pagamento, e lo stesso discorso per King of limbs (2011). Nel caso della band di Oxford, queste modalità si ricollegano ad uno dei topos della loro arte, la paura di finire sopraffatti dalla “macchina” (intesa come tecnologia e come sistema-discografia). Per questo in passato Yorke e il produttore dei Radiohead, Nigel Godrich, avevano polemizzato aspramente su Spotify, e forse Tomorrow’s modern boxes, nel suo porsi come un esperimento che cerca di ridare il controllo sul commercio dei prodotti artistici agli autori, senza filtri e «sciocchezze legate ai Cloud», rappresenta anche una stilettata agli U2 e alla mega-distribuzione via Apple del loro Songs of innocence.
La questione è complessa, e attiene al futuro della musica in un’epoca in cui non è ancora chiaro fino a che punto e in che modo digitale e analogico (ovvero file – trasmessi, scaricati, in streaming – e formati fisici) possano coesistere realmente. Meglio allora concentrarsi sulla musica. Tomorrow’s modern boxes è un concentrato dei tic stilistici tipici dell’ultimo Thom Yorke, una laptop music serenamente alienata, fatta di pulsazioni minimali, fluttuazioni di synth e stratificazioni vocali eteree. Insomma, i Radiohead di Kid A, il Thom Yorke stesso di The eraser e gli Atoms for Peace di Amok. Il paesaggio sonoro è plumbeo (A brain in a bottle), fatto di “echi” stranianti (The mother lode, che ingloba elementi da club music e jazz) e gelidi canti di sirena (Interference: “in the future we will change our numbers and lose contact”, recita un verso).
Tomorrow’s modern boxes ha delle ambizioni: la techno “secca” di There is no ice (for my drink), che termina nella coda sinistra di Pink section, è lì a dimostrarlo. Tuttavia, la sensazione è che l’insieme sia fatto un po’ con il pilota automatico, e con il minimo sforzo (vedi Nose grows some, l’ennesima dichiarazione d’amore di Yorke ad Aphex Twin). Il che è un peccato ed anche un paradosso, perché che senso ha cercare nuovi modi di distribuire una musica che, invece, sembra ormai sclerotizzata nella recita eterna di vecchi cliché? Ma forse la colpa è nostra, che ci aspettiamo sempre da Thom Yorke la magia in grado di salvarci. Forse, da oggi, tocca accontentarsi di un musicista raffinato e intelligente ma un po’ autoindulgente, e rimandare ai vari Ok computer, Kid A, Amnesiac, la ricerca del brivido vero, del cuore che a Tomorrow’s modern boxes un po’ manca.