Dunque non scherzavano i Flaming Lips: hanno davvero fatto un disco “cupo e disturbante” come annunciato. La diffidenza era legata a essenzialmente a due motivi: il risaputo spirito esagitato, sopra le righe e clownesco di Wayne Coyne e soci (reduci dall’escursione con gli “amici fuori di testa” di …Heady fwends) e la data scelta per la release dell’album, il 1° aprile. I successivi primi due estratti, The sun blows up today e Look… the sun is rising (per non parlare del trailer del disco), avevano però confermato che la scelta di un titolo esplicito come The terror era tutt’altro che una boutade. “Il terrore è, lo sappiamo solo ora, che anche senza amore la vita vada avanti, che noi andiamo avanti meccanicamente, che non ci sia eutanasia”: Coyne spiegava così, qualche mese fa, il nucleo emotivo del disco, e per una volta possiamo dire che la dichiarazione pre-lancio dell’album non era uno spot ma un’analisi accurata, una confessione sincera.
In questo senso, The terror è un lavoro veramente riuscito: le nove tracce trasmettono angoscia genuina e disturbante horror vacui, forti di impalcature scheletriche, di droni raggelanti, di pulsazioni puramente meccaniche (appunto), di un’astenia mescolata a malessere esistenziale. Non canzoni in senso stretto, dunque, ma panorami sonori asfissianti: i loop di You lust riecheggiano per oltre tredici minuti, stemperandosi poi in un finale da 2001: odissea nello spazio. Le fibrillazioni, le epilessi digitali di Look… the sun is rising sono espressione di un universo teso, oscuro, alienato, un incubo sottolineato quasi beffardamente da uno strumming monotono di chitarrine acide. Visionaria Be free, a way (a metà tra la traversata nel deserto e l’esplorazione di un suolo marziano), opprimente e fantasmatica la title-track. Butterfly, how long it takes to die è il pezzo che forse più somiglia ad una canzone, ma non fa nulla per essere gradevole, mentre in Always there… in our hearts il drumming torvo e industriale e le sei corde gracchianti creano una vertigine spaventosa in rapporto alla salmodia vocale in delay spinto di Coyne.
The terror, insomma, è un affresco potente, evocativo, una bella commistione di psichedelia ed avanguardia e, al tempo stesso, una speculazione estetica che trova una nuova via all’elettronica alienata dei Radiohead di Kid A/Amnesiac (vedi You are alone). L’uniformità di arrangiamenti e tono penalizza forse un po’ il disco: è un limite programmatico, voluto, ma The terror semplicemente andava fatto così. Sarà interessante riascoltarlo tra qualche anno e verificarne l’invecchiamento.